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CENTRI COMMERCIALI ITALIANI E CONSUMISMO: LETTERA APERTA AD UN PADRE

CENTRI COMMERCIALI ITALIANI E CONSUMISMO: LETTERA APERTA AD UN PADRE
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di Gianluca Bonazzi Caro Padre, è un tuo ormai sconosciuto e mal digerito frequentatore che ti scrive. So che non saresti tu uno dei Padri dei Centri Commerciali Italiani, perché uno dei primi ad apparire fu quello dei Portali alla periferia di Modena, ormai lontano arcaico progenitore, il quale apparendo, però, si è comportato verso i suoi sudditi come il Battista verso i credenti riguardo l’apparizione di Dio, proferendo le parole “Non sono io Colui che aspettate, ma quello che l’annuncia!”. Non ti frequentavo come tutti, al sabato e alla domenica, per arraffare da affamato improbabili offerte uniche, con avvitamento del pensiero e del desiderio al sottocosto della supercazzola. Venivo a trovarti nel dopocena dei giorni feriali, quando la gente era già sciamata per tornare alle loro case e io potevo camminare, correre, saltellare, per andare felice a trovare i miei amati cestoni, dove si potevano trovare dvd e cd a prezzi quasi offensivi per gli artisti che li avevano creati. Li sbattevate via, con ovvia e totale noncuranza dello spirito dell’Arte, tanto che spesso si trovavano soli, poco considerati, e quando arrivavo io invece ritrovavano subito il sorriso. In più, il sottoscritto giocava, diciamo così, di nascosto con le etichette del prezzo, riuscendo a pagare ancor meno, tanto, scrutando lo sguardo delle commesse che più o meno avevano imparato a conoscermi, almeno di vista; sembrava che vi facessi invece un gran favore. Ammetto perciò di aver trovato nella tana del lupo roba incredibile! Però, da quando risiedo a Fidenza, non sei più nelle mie corde, e la cosa non mi dispiace, anzi. Da quando ti penso e ti guardo a distanza, soprattutto oggi, mentre sono qui alla Piola delle Ortiche per un pranzo speciale, dove si parla di paesaggi antichi e moderni attraversati dallo spirito del cammino, posso dire che tanta grandezza non porta un granello in più di benessere a nessuno. Tu trovi linfa e prosperi nell’insoddisfazione e nella solitudine della gente, che trova nel gesto della spesa, illuminato da infantili bagliori lunaparcheschi, una parvenza di beatitudine ristoratrice. Se ci fosse ancora un po’ di spirito rivoluzionario nella gente, se avesse ancora voglia di costruire un sogno, ma ad occhi aperti, condividendolo per trasformare in meglio la società e non subirla, svolgerebbe, come accadeva spesso e dappertutto negli anni ’60 e ’70, ma soprattutto negli Stati Uniti, una celebrazione allegra, colorata, creativa, per esorcizzare il tuo attraente potere diabolico. Comprare per consumare e per comprare ancora non fa star bene, corrode l’anima in un circolo vizioso, chiuso e autoreferenziale, che riproduce all’infinito il principio della catena di montaggio. La differenza è che non si è più pagati per lavorarci, ma si paga per viverla. Una telenovela tragicomica che sarà sempre più smascherata, caro mio Padre! Le cose che non riguardano l’anima non durano, non hanno radici nella terra e non hanno sguardo rivolto al cielo, sono effimere, volano fin quando non c’è un autentico risveglio. Qualcosa si sta muovendo. Sarà poco, eppur si muove, è il corso delle cose che procede in direzione ostinata e contraria. E tu, nonostante la tua magniloquenza, non lo potrai mai impedire. Quel risveglio ha già toccato persone, che non credono più al falso candore della storia del Mulino Bianco, dove si producono i Trillini Sofficiotti Infarinati durante il Saltinpadella dalla Nonnina Genuina, Dolce e Carina, ma pensano ad un mulino costruito dalla fatica di vivere, necessaria per capirne la Bellezza, che fa gustare semplici piatti creati con gli avanzi del giorno prima. Caro mio Padre, tu ti nutri, pretendendo che noi facciamo altrettanto, di pil, infrastrutture e altre paroline magiche, perfette per alloccare i gonzi, ma noi siamo oggi, qui e ora, piccoli capitani coraggiosi in articolata viandanza aggregata attorno al sacro principio della Bellezza, quella che, unica, tocca le corde dell’anima, facendola restare più lenta, più profonda, più soave’, come diceva l’indimenticato A. Langer, e ristorandola impareggiabilmente contro il mal di vivere. Quante rotonde sono state costruite per farci fare il giro-giro tondo, casca il mondo, casca la terra, tutti ubriachi per terra, tanto da non capirci alla fine più nulla, venendoti in bocca senza un perché. Ora ti porgeremo tutti insieme un fiore, nella letizia indotta dall’Utopia e nell’amore ispirato dalla Rivoluzione, per invocare quanto prima la tua fine, per suggellare questa visione del mondo con un “mai più”, che ci porterà a brindare al tramonto di questa inutile economia. PROSIT!

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